Ieri, nel Gran consiglio ticinese, sono state bocciate l’iniziativa dei Verdi e la mozione dell’MpS, entrambe incentrate sulla richiesta di vietare le pubblicità discriminatorie di carattere sessista, omofobo, razzista. Cartelloni che per esempio diffondono un’immagine degradante e svilente delle donne, proponendole come mero oggetto del desiderio e del piacere sessuale maschile.
Una delle più scabrose pubblicità di cui si ha memoria risale al 2018, quando, per promuovere gli sconti eccezionali del “Black Friday”, un noto marchio con sede nel Cantone – Philipp Plein – decise di usare lo slogan “Price killer” e mettere sullo sfondo una donna sanguinante, forse morta o almeno moribonda, e non in una sola immagine, ma in diverse versioni.



La proposta di MpS e Verdi ha dovuto soccombere di fronte alla tanto declamata “libertà di opinione” che, ci si chiede allora, permetterà di discriminare impunemente? Avremo ancora pubblicità tanto educative da illustrare dei femminicidi? Ce n’è davvero bisogno?
Un atteggiamento questo che ricorda inevitabilmente quello che sta succedendo oltre Oceano, ove le politiche dei più importati social network sono improvvisamente cambiate al ritorno di un presidente ultra-conservatore, e hanno abolito – per ora solo negli USA – quella che è stata definita la censura (sic!) della libertà di espressione. Scelte come queste spaventano molto, perché non sembrano proprio essere la base per costruire una società più rispettosa e più equa. È arcinoto che i social network possono diventare propagatori di messaggi di odio, di disinformazione e di false notizie dagli effetti imprevedibili. Il fatto che la libertà d’espressione possa significare graziare 1500 persone che hanno assalito il Congresso americano perché convinte di aver perso le elezioni a causa di brogli, mentre parallelamente si dichiara finita “l’era del gender”, visto che i generi sono solo due, pone seri problemi di coerenza logica e razionalità.
I venti reazionari che soffiano negli Stati Uniti sembrano essere giunti con grande velocità nel Cantone. Un esempio lampante è la retorica adottata proprio ieri in Gran consiglio dall’ala conservatrice, che si è opposta al divieto di pubblicità discriminatore. Il Corriere del Ticino sceglie per esempio di riportare tra virgolette le parole della deputata UDC, Lara Filippini, redattrice del rapporto di maggioranza, che dopo una serie di immagini pubblicitarie ha sostenuto «l’incoerenza di chi vorrebbe un impianto censorio per educarci su che cosa è giusto e cosa non lo è». Ne deduciamo che quindi non esiste nulla di sbagliato: discriminazione, razzismo e omofobia sono atteggiamenti potenzialmente giusti? In effetti, sostenendo che decidere se una pubblicità è discriminatoria è un fatto soggettivo, questo, per assurdo, può pure succedere.
Ma l’apice dell’intervento è stata la conclusione, quando la deputata ha detto: «i problemi dei ticinesi sono ben altri». Una formula retorica molto abusata nella politica, che è ormai un fenomeno sociologico studiato e definito il “benaltrismo”, che ha lo scopo infimo di spostare l’attenzione su qualcosa d’altro senza però dire esattamente cosa. Allo stesso tempo, poi, banalizza la questione posta – qualsiasi essa sia – rendendola indegna di considerazione.
Ecco, anche noi vorremmo ben altro dalla politica e dalle donne della destra, più precisamente vorremmo una società femminista, che si fonda sul rispetto di tutte le persone, senza discriminazioni.