Davvero non c’è malessere sistemico in RSI e soprattutto non c’è stata nessuna molestia sessuale? Di certo questo è il chiaro messaggio che la direzione RSI vuole far passare.
Un entusiasmo che si riverbera anche nel titolo altisonante e mistificatorio dato alla notizia proprio dalla stessa Radiotelevisione: “Nessun caso di molestie sessuali o mobbing alla RSI”; un titolo che si smentisce leggendo le prime righe e che rende ancora più grave quanto accaduto, perché appare come un malcelato tentativo di ridimensionare una realtà tutt’altro che idilliaca.
È grave perché si sottolinea come alcune persone, la maggior parte, si siano ritenute soddisfatte solo per aver potuto parlare con una persona esterna all’azienda, quasi che più che un aiuto giuridico, avessero bisogno di una consulenza psicologica. Con questa narrazione si infonde l’idea della scarsa credibilità delle vittime, che sono dipinte come persone in cerca di ascolto. Non è così, per denunciare ci vuole molto coraggio, perché il nostro sistema non ci protegge.
Pensare che queste persone si siano rese conto che se avessero intrapreso un’azione legale non sarebbero riuscite ad ottenere nulla se non ulteriori sofferenze o la perdita del posto di lavoro, sembra un argomento più convincente per spiegare come mai dopo le prime segnalazioni non sia stato possibile andare a fondo.
E che le cose stanno così lo dimostrano i numerosi messaggi che in queste ore abbiamo ricevuto da alcune dipendenti o ex dipendenti. Dipendenti che con coraggio hanno portato la loro esperienza di sofferenza alle avvocate che hanno condotto l’inchiesta e che ora sono indignate e arrabbiate. Lavoratrici che vivono costantemente in un clima fatto di “battute sessiste”, di comportamenti discriminatori e inaccettabili che tutti conoscono ma nessuno vuole vedere.
Una donna che è stata molestata da un suo collega, ancora dipendente alla RSI, e che ha raccontato il suo vissuto agli avvocati, ma non ha voluto avviare un’inchiesta perché i legali non potevano garantirle l’anonimato, ci ha scritto: “Sto male oggi, non tanto per il mio caso particolare, quanto per il fatto che tutti hanno sempre saputo e nessuno ha mai detto. Quello che è successo a me ok, anche se non avrei voluto e anche se mi ha condizionata, l’ho sopportato e lo posso continuare a fare, anche perché oggi sono una donna consapevole, ma non penso assolutamente che sia un verdetto corretto, per quantodall’inizio sapevo che sarebbe andata così. In realtà, lo sapevamo tutti!”
E che il clima di paura e omertà sia tanto diffuso lo dimostrano le parole di questa altra dipendente che ci scrive: “Non ci sono parole, solo rabbia e lacrime, tante lacrime. Io non sono fra le persone che hanno denunciato, ma sono fra le persone che hanno subito battute, allusioni, che si sono sentite dire che erano delle rompiballe perché non erano abbastanza compiacenti. Sono fra quelli e quelle che hanno avuto paura a reagire e a dire davvero la loro e che oggi hanno il terrore pensando di dover andare avanti così. Parola liberata? Parola liberata un bel niente. Parole nascoste, cancellate in modo vergognoso per poter dire che tutto va bene o quasi e che in RSI non c’è malessere. Non c’è malessere? Beh, c’è talmente tanto malessere che chi lo provoca osa negarlo senza vergogna perché tanto i deboli sono già schiacciati in fondo alla scala. Sono scioccata. Penso alle donne e agli uomini che hanno osato parlare e non hanno ottenuto giustizia, e penso a tutti coloro che non hanno osato parlare per paura. Ora queste persone hanno la conferma della loro paura. Ora sanno che non hanno scelta. Io sono una di quelle persone”.
Un’altra ancora ci comunica che: “Provo sconcerto circa l’esito dell’inchiesta dato che so di almeno una molestia sessuale verbale da parte di un superiore, accertata da un’inchiesta interna”.
Anche chi, ormai non più in RSI, riponeva speranza e fiducia nel nuovo corso si trova oggi confrontato con una realtà molto difficile da accettare.
“Ero certa che un nuovo direttore, che si presenta come un uomo di cultura potesse davvero aprire una nuova fase, cambiare il modo di fare. Nessuna di noi ha mai parlato di “cultura dello stupro in RSI” ma di vissuti difficili, troppe battute sessiste e vari gradi di sofferenze e discriminazioni, quello molte di noi lo hanno vissuto e molte di noi speravano che queste inchieste mettessero una parola fine a tutto ciò. Invece con questi comunicati e queste esternazioni della direzione pare che si voglia legittimare maggiormente questo modo di agire discriminatorio. In RSI lo sanno tutti che quelle persone che sono andate a denunciare i loro vissuti sono solo le più coraggiose. Bè ora non denuncerà più niente nessuno”.
Siamo di fronte a una storia già vista e vissuta da molte donne, una storia triste e drammatica che però non ci farà abbassare la testa. Non possiamo oggi che esprimere per l’ennesima volta la nostra rabbia e la nostra delusione di fronte alle istituzioni che chiudono gli occhi, che nascondono la polvere sotto al tappeto e fanno finta che tutto va bene…
Come collettivo esprimiamo la nostra massima sorellanza a tutte le donne che hanno avuto coraggio di denunciare e a tutte quelle che per paura sono state zitte ma continuano a subire un clima fatto di prevaricazione, sessismo e sopraffazione.
Del resto lo stesso comunicato della RSI nonostante neghi l’esistenza di casi di molestie sessuali verbali o fisiche, mobbing o bossing e sostenga che non sia stato accertato un malessere generalizzato, si premura di far sapere che ha intenzione di “rivedere la cultura aziendale” e di istituire una “figura di fiducia” esterna all’azienda e a disposizione del personale … come a dire che appunto non va veramente tutto bene.
Continueremo quindi a denunciare tutte le forme di violenza e di molestie contro le donne a schieraci al fianco delle vittime credendo al loro racconto e cercando di sostenerle nella loro volontà di uscire da situazioni di violenza, continueremo a batterci affinché si possa vivere in un mondo libero dal sessismo, dall’omofobia e dalla violenza patriarcale.