Pubblichiamo un contributo delle compagne di Kollettiva Jiyan
Non è normale che frasi come “dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna” vengano ancora considerate complimenti.
Questa frase, detta con leggerezza, nasconde una verità scomoda:
la grandezza maschile, per secoli, è stata costruita sull’invisibilità delle donne.
Sulle loro rinunce.
Sul lavoro non riconosciuto.
Sul sacrificio spacciato per amore.
Ma la subordinazione non è virtù.
La cancellazione non è rispetto.
Una società che tiene le donne nell’ombra non può dirsi libera.
Viviamo in un sistema che ci vuole produttivə, docilə, omologatə.
Un sistema patriarcale, capitalista, coloniale —
che si regge anche sul silenzio delle donne.
Ma noi siamo qui per dire basta.
Basta alle storie raccontate solo a metà.
Basta a una libertà riservata a pochi.
La libertà vera comincia da qui:
dal nome, dal corpo, dalla voce delle donne.
Da una connessione profonda tra chi è stata messa a tacere, ma ha continuato a resistere.
Questa è sorellanza.
È forza condivisa.
È cura reciproca.
È presenza, sostegno, coraggio che si moltiplica.
C’è un grido che viene dal Kurdistan, e parla al mondo intero:
Jin, Jiyan, Azadî — Donna, Vita, Libertà.
Non è solo uno slogan.
È una rivoluzione.
È anche una visione:
la Jinelojî, la scienza delle donne.
Nata dalla lotta delle donne curde, la Jinelojî ricostruisce un sapere dimenticato.
Parla di giustizia, di equilibrio, di relazione.
Parla di noi.
Di tutte noi.
Perché la libertà non è isolamento, ma rete di sorellanza solidale
Non è dominio, ma armonia.
Non è obbedienza, ma consapevolezza.
E se vogliamo davvero parlare di giustizia, dobbiamo mettere al centro le donne.
In Palestina, in Congo, in Sudan, in Yemen in Siria, in America Latina, nell’intero mondo, ovunque ci sia resistenza —
le donne ci sono.
Spesso sono le prime a soffrire.
Ma sono anche le prime a curare, a ricostruire, a non arrendersi.
Anche quando non le vediamo.
Anche quando non le ascoltiamo.
Le donne tengono in piedi il mondo.
E il mondo ha il dovere di riconoscerlo.
Oggi, in questa piazza, diciamo che non basta più chiedere libertà.
Dobbiamo prenderla, insieme.
Trasformarla.
Renderla viva, visibile, condivisa.
Vogliamo una società in cui una donna non sia mai “dietro”,
ma accanto, davanti, o dove sceglie di stare.
Una società dove la cura è scelta comune.
Dove le emozioni sono forza.
Dove la sorellanza è pratica politica.
Dove la differenza è potere, non pretesto di esclusione.
Perché finché una sola donna sarà invisibile, anche la verità lo sarà.
E finché non saremo tuttə liberə, nessunə lo sarà davvero.
Jin. Jiyan. Azadî.
Donna. Vita. Libertà.