Il 5 aprile 2025 durante il telegiornale RSI delle ore 12:30 è andata in onda – per l’ennesima volta – la versione della narrazione malata “del bravo ragazzo che casualmente ha commesso un femminicidio”. Questa volta, a corredo, è stato detto che sono “4 milioni e mezzo di uomini che non hanno ucciso e molestato nessuno”. L’artefatto del giornalista Angelo D’Andrea ha trovato spazio nella chiusura di un servizio su una manifestazione contro i femminicidi che si è svolta a Berna il 4 aprile scorso. In Svizzera quest’anno sono già stati denunciati, attraverso i media, ben 13 femminicidi. Purtroppo, la Svizzera non ha nessuna statistica ufficiale sui femminicidi. Attualmente, questi vengono raccolti da volontarie in un progetto di ricerca che conta i femminicidi riportati dai media; il sito del progetto è www.stopfemizid.ch.
Per la precisione Angelo D’Andrea, durante il telegiornale, ha detto: “Per fortuna che in Svizzera ci sono anche quasi quattro milioni e mezzo di uomini che da inizio anno non hanno molestato ne ucciso nessuno”. Questa affermazione è grave perché sminuisce il problema, ma è soprattutto sbagliata sotto vari aspetti. Prima di tutto non sappiamo quanti uomini, da inizio gennaio ad oggi, siano stati autori di molestie, le molestie in sé sono un campo molto vasto che va dalle battute sessiste fino allo stupro, passando per la banalizzazione della violenza. Ad oggi le denunce delle molestie sono molto poche, il processo per ottenere giustizia è molto difficile e la nostra legge non garantisce ancora protezione sufficiente alle vittime, ne esistono degli articoli di legge che sostengono in modo inequivocabile le vittime di stalking o di revenge porn. Ma anche le denunce effettivamente presentate per stupro sono solo una piccola percentuale delle violenze sessuali che sono effettivamente avvenute. Le forme più sottili, come l’oggettificazione della donna o gli stereotipi di genere sono invece all’ordine del giorno e vengono raramente denunciati, perché molto spesso la cosa finisce con un “parola contro parola”, a meno che non vi siano testimoni che però potrebbero anche dire che “era solo una battuta”. Le forme più subdole di violenza molte volte non sono riconoscibili subito né dalle donne né dagli uomini, sono forme della cultura patriarcale introiettate che una parte della società non è ancora in grado di percepire. Alle donne spesso diventano chiare quando ricevono commenti indesiderati sul loro aspetto o su delle presunte abitudini sessuali, dai loro superiori o da sconosciuti.
Rispetto all’altra casistica che menziona liberamente Angelo D’Andrea, ovvero gli uomini che non hanno “ucciso nessuno”, ci sono delle ulteriori criticità. Prima di tutto questa formulazione generica sottintende anche le vittime maschili. Se i femminicidi sono 13 al momento, non è chiaro quanti uomini abbiano ucciso altri uomini da inizio gennaio. Questo è un errore grossolano che non è in nessun modo accettabile, soprattutto per un giornalista professionista impiegato nel servizio pubblico nazionale! Inoltre, si tratta di una affermazione che mira a decontestualizzare completamente il femminicidio dalle sue cause.
È da anni che le organizzazioni che lottano contro la violenza di genere evidenziano come il femminicidio sia solo il culmine di un percorso di violenza, solitamente durato anni. Evidenziano anche come, quasi sempre, le vittime abbiano provato a denunciare senza trovare l’ascolto e la protezione necessaria da parte delle autorità. Così anche il fenomeno della violenza domestica è gravemente sottostimato, e non è conosciuto il numero effettivo degli uomini che da inizio anno ad oggi hanno esercitato violenza domestica sulle compagne, sulle madri, sulle sorelle, sulle mogli, sui figli e sulle figlie. Non è possibile nemmeno sapere quante donne siano ad oggi vittime di violenza economica, donne che vengono private dai loro conviventi o ex conviventi delle risorse economiche che spetterebbero loro.
Angelo D’Andrea ha dato sfogo a una narrazione mediatica che è ancora socialmente accettata, ovvero “quella del bravo ragazzo che ha ucciso una donna”. Al momento non esiste in Svizzera un codice deontologico che prevede un regolamento su come debba essere narrato il femminicidio, anche se sarebbe necessario, vista l’infelice uscita del giornalista. L’unica indicazione esistente è sostenuta da una legge (al contrario dell’Italia), prevede che i media non possano fare il nome della vittima e nemmeno dell’autore. Per poter essere un professionista qualificato alla redazione e narrazione di servizi sui femminicidi, sarebbe opportuno mantenere un atteggiamento rispettoso e neutrale; invece, alla RSI sembra si possano svolgere servizi sulla violenza sulle donne con opinioni apertamente maschiliste.
Il servizio di fatto contiene un’altra formulazione dubbiosa che, ancora una volta, rivela le opinioni personali del giornalista. In concomitanza con l’intervento di un uomo che si è attivato per lottare contro la violenza patriarcale, si nota il tono quasi sarcastico da parte del conduttore nel dire: “Non sono mancati i classici attacchi al patriarcato, anche da parte degli uomini”. Secondo D’Andrea, dunque, il patriarcato va difeso e conservato?
Il problema non è solo mediatico, in realtà questo genere di narrazione è semplicemente un sintomo della negazione della violenza machista sulle donne da parte di uomini che si reputano “sani”, ma che incorporano la cultura patriarcale e i privilegi maschili senza rendersene mai conto o, peggio ancora, naturalizzandoli. Questi stessi soggetti, attraverso quella che reputano una “pseudo correttezza” ostacolano la presa di coscienza dei quattro milioni e mezzo di uomini che vivono nel nostro Paese e di miliardi di altri nel resto del mondo. La violenza di genere e la discriminazione delle donne e delle soggettività femminilizzate è perpetrata dal gruppo sociale del quale fanno parte ed è presente nelle nostre case, nei posti di lavoro, nelle scuole, nelle strade e nei media. Una decostruzione vera e propria dei comportamenti patriarcali è necessaria più che mai, ma non può essere fatta solo dalle donne.