Che 8 marzo strano, quello odierno. Bevendo il caffè e leggendo i quotidiani di prima mattina mi imbatto nel commento sulla prima pagina de “La Regione”, ad opera di una giornalista, che inizia così: “Gli uomini sono vittime di molti più incidenti mortali sul lavoro rispetto alle donne. Soffrono di più sintomi depressivi quando rimangono senza impiego. Si tolgono la vita molto più frequentemente. In caso di divorzio hanno meno probabilità di ricevere in affidamento i figli. La lista di primati in negativo che coinvolgono gli uomini è lunga.”
L’elenco proviene dagli scritti di un giovane educatore ticinese, intervistato in un paginone del giornale dal titolo “Anche molti uomini soffrono di problemi legati al genere”.
Inizio a leggere, con una certa amarezza (non certo dovuta al caffè), questi due articoli, chiedendomi come sia possibile che un uomo che si dichiara così attento e sensibile alle tematiche femministe possa accettare di prendere uno spazio così importante proprio l’8 marzo (insomma, sono le basi, no?).
Peccato non interessarsi a quello che su questo tema (le cosidette discriminazioni maschili) dicono le femministe e non aver lasciato la parola a una di loro, che avrebbe potuto spiegare, ad esempio, che non è vero che gli uomini hanno meno probabilità di ricevere in affidamento i figli perché discriminati dai tribunali (questo è un tipico falso argomento mascolinista: la maggior parte dei padri separati non chiede l’affidamento – esclusivo o congiunto – e quando invece lo fanno hanno percentualmente sempre maggiori possibilità di ottenerlo). Oppure che le statistiche sugli incidenti sul lavoro dimostrano come le donne stanno oggi recuperando gli uomini, e perché non includere nel conteggio anche gli incidenti domestici, visto che la casa è di fatto un luogo di lavoro per molte di noi? Eccettera, eccetera.
E, anche ammettendo che tale condizione di vittime maschili del patriarcato sia realmente così dura, perché le piazze non sono piene di uomini che lottano contro il sessismo e le discriminazioni di genere nei loro confronti? Perché loro che il potere ce l’hanno, ovunque e a qualunque livello, non cambiano semplicemente le cose? Forse perché, per gli uomini il bilancio tra svantaggi e vantaggi della società patriarcale è ancora chiaramente a loro favore.
Ciò non vuol dire che alcuni uomini non soffrano anche loro a causa di stereotipi o discriminazioni, ma dobbiamo preoccuparcene proprio in occasione della giornata internazionale dei diritti delle donne?Sarebbe ammissibile lo stesso in occasione della giornata contro le discriminazioni razziali?
Ho sulla scrivania un librone di più di 400 pagine, fitte ed estremamente argomentate, di Caroline Criado Perez dal titolo “Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano”. È proprio così, noi donne siamo ancora ‘invisibili’ e costantemente invisibilizzate sono le innumerevoli discriminazioni che subiamo in qualsiasi ambito delle nostre vite, dalle politiche dei trasporti e urbanistiche (un solo piccolo esempio: anche i servizi di sgombero della neve possono essere sessisti e discriminanti, se privilegiano le strade ai marciapedi, ed infatti le donne sono molto più spesso vittime di cadute e fratture dovute ai marciapiedi ghiacciati) alle ricerche mediche (unicamente focalizzate sul corpo maschile, con conseguenze spesso letali per le donne, come nel caso della scarsa conoscenza e informazioni sui sintomi degli infarti sulle donne, ben diversi da quelli maschili).
Non solo siamo e restiamo invisibili, ma negli ultimi tempi si assiste anche ad un fenomeno alquanto curioso e paradossale: sono spesso le stesse donne (all’interno del mondo dei media, ma non solo) a voler mettere in luce la cosiddetta ‘altra faccia della medaglia’: le discriminazioni sugli uomini, la violenza femminile, la sofferenza dei padri separati,…
Forse per alcune donne ‘privilegiate’, che si considerano ‘emancipate’ e dunque meno toccate dalle discriminazioni, è scomodo riconoscersi nel discorso femminista che denuncia incessantemente le violenze maschili e le discriminazioni costanti contro cui dobbiamo lottare.
Come collettivo Io l’8 ogni giorno ripetiamo sempre che siamo tutte vittime, tutte sopravvissute, che ognuna di noi è confrontata alla violenza maschile (seppure in forme diverse e con diverse intensità), che ognuna di noi deve lottare ogni giorno contro molteplici discriminazioni. Nella nostra società le donne valgono di meno degli uomini, le nostre vite valgono di meno. È una dura realtà, ma è purtroppo ancora così. È dura essere donne.
Per questo, forse, per qualcuna è tentante credere alla favola della parità ormai già sostanzialmente raggiunta e pensare che il femminismo non sia più così necessario o perlomeno non qui, non per noi.
Oggi in radio c’è chi si chiede se l’8 marzo e il femminismo servano ancora, se hanno ancora un senso per le giovani donne. Il tenore – desolante – degli interventi in studio e dal pubblico, non lascia spazio ad alcun dubbio: c’è ancora molto da lottare. La parità si riduce a una questione di libere scelte individuali e di opportunità di carriera. Nessun accenno alla povertà che colpisce in primo luogo le donne e nulla nemmeno sulle violenze maschili. Tutto invisibile.
Il “Corriere del Ticino” di oggi dà, invece, grande risalto alla situazione delle donne in Iran. Siamo le prime ad essere solidali con le nostre sorelle in lotta contro il sanguinario regime iraniano e ad essere scese in piazza al loro fianco. Ma, ancora una volta, perché non vedere nella feroce repressione che subiscono le donne iraniane una comune matrice patriarcale, che, in modi diversi, si fa sempre più forte ed opprimente in vari luoghi del mondo? È troppo comodo e semplice raffigurare il patriarcato con il volto dell’uomo straniero, magari anche mussulmano. Ovunque e ogniqualvolta le donne si ribellano e rivendicano i loro diritti, devono fronteggiare una reazione conservatrice e misogina dai tratti sempre più cruenti.
Negli ultimi anni, in Ticino come in Svizzera e in vari paesi del mondo, è rinato e cresciuto un movimento femminista rivendicativo e transgenerazionale. Noi donne abbiamo ricominciato a farci sentire, a scendere in strada, a scioperare… e la reazione non si è fatta aspettare. Le femministe stanno andando troppo in là, chiedono troppo, esagerano, non si può dire nulla, quanto sono aggressive, poveri uomini in questo mondo sempre più dominato dalle donne,… La forza della reazione non deve, però, farci scoraggiare: se ci vogliono ancora ridurre al silenzio, è perché le nostre parole e le nostre idee sono potenti.
E allora continueremo a lottare, perché l’8 marzo non è una festa, ma una giornata di protesta!