In occasione della Giornata della memoria riportiamo qui di seguito l’estratto di una testimonianza di Lidia Beccaria Rolfi (1925-1996), staffetta partigiana piemontese sopravvissuta alla deportazione a Ravensbrück, unico lager nazista esclusivamente femminile. Nel brano Lidia rievoca l’incontro con altre deportate politiche e il valore intrinseco della sorellanza di fronte all’orrore del campo di concentramento: la consapevolezza della propria e altrui dignità umana diventa il motivo per resistere all’oppressione.
[…] Poi un mattino di domenica, mentre siamo all’appello, succede un episodio che dovrà modificare completamente i miei rapporti con Monique e con le sue compagne. […] Genia fischietta Bandiera rossa, io la imito e canticchio la canzone in italiano. Mi tocca sulla spalla e mi chiede se sono comunista. […] Immediatamente Genia e Monique si sgelano, cambiano atteggiamento […]
Monique mi prende sotto la sua protezione e si incarica della mia “educazione politica e sociale”, necessaria per farmi accettare come uguale da tutte le altre. Il suo lavoro è lento e difficile: deve spiegarmi perché lavarsi, pettinarsi e tenersi in ordine, fa parte della Resistenza in campo. Lavarsi quando non c’è né asciugamano né sapone, smacchiare il vestito con l’acqua fredda, lavare mutande e camicia, stenderle e farle asciugare, anche se è proibito, vuol dire trovare la forza di rompere, di violare gli ordini assurdi del sistema. Allenare la memoria e il cervello, secondo lei, è un altro mezzo per resistere alla disumanizzazione. […]
Soprattutto mi insegna i principi che regolano il campo […] Imparo che in campo si può rubare, ma solo al sistema. […] Si deve lavorare il meno possibile in fabbrica, ma non si può sfuggire alle corvée, perché le corvée ricadono sulle spalle di altre deportate. […] Il discorso del lavorare il meno possibile in fabbrica si allarga, diventa un discorso politico, mi fa riflettere per la prima volta sulla nostra condizione di schiave. […]
La ripresa è lenta ma graduale: giorno per giorno miglioro, riprendo a parlare, a discutere. […] Analizzando la situazione in cui mi sono trovata, mi rendo conto di quanto sia stata vicina alla fine. Me ne rendo conto ora, perché fino a quando sono vissuta nei pidocchi, nello sporco, nel freddo del lago e della pineta, non ho avuto né pensieri, né sogni, né speranze. Neanche una volta ho pensato a casa. I ricordi riaffiorano solo quando torno ad essere persona, e direi che non riaffiorano per nostalgia, ma come piacere di scoprirmi un passato, un piacere quasi fisico che si fonde con la speranza del ritorno. […]
Risale a questo periodo anche la mia formazione politica. Ascolto discussioni sul comunismo, su Marx e sul marxismo, sulla rivoluzione bolscevica, su Lenin e Rosa Luxemburg. Per me sono materia completamente nuova perché di quegli argomenti non ho mai sentito un cenno né a scuola né fuori, nella mia città, e ben poco di essi ho compreso anche quando se ne parlava durante la Resistenza in montagna. […] Finalmente capisco che cos’è il fascismo, il nazismo, e mi rendo conto chiaramente delle loro responsabilità. […] Devo imparare a capovolgere quello che a scuola per dodici anni mi hanno insegnato […]
Tratto da Lidia Beccaria Rolfi, Anna Maria Bruzzone, Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, Einaudi, Torino 1978 pp. 93-97