Ancora un aggressore, ancora un altro processo, … i casi di violenza contro le donne sono sempre troppi. E non sono mai “casi isolati”. Quasi 20’000 reati registrati dalla polizia ogni anno, contando solo la violenza domestica. Di cui circa 15’000 contro donne: in particolare nella violenza tra partner o ex-partner, le donne sono quasi l’80% delle vittime.
Ma questi sono solo i casi registrati dalla polizia. Le statistiche ufficiali dimostrano che la parte sommersa della violenza è da 8 a 10 volte superiore.
Violenze non denunciate significa vittime non adeguatamente aiutate. E significa anche aggressori impuniti, liberi di commettere altra violenza.
Diventa allora necessario continuare ad insistere in merito ai problemi che esistono nel sostegno alle vittime: se la violenza è strutturale, bisogna intervenire in modo strutturale.
Nel 1997 la Svizzera ha aderito alla CEDAW, mentre nel 2018 alla Convenzione di Istanbul, impegnandosi nella prevenzione della violenza, riconosciuta come strutturale e causa di violazione dei diritti delle donne.
Per questo il Collettivo insiste da anni:
“Non vogliamo commentare un singolo caso, non serve e violerebbe solo ulteriormente la sfera privata e i diritti delle vittime. Ma ci sono dei gravi problemi e delle lacune sistematiche nella protezione e nella prevenzione della violenza. Non basta adottare leggi e convenzioni: ora bisogna attuarle!”
Il recente processo per violenza domestica, terminato con una condanna per un’aggressione contro l’ex-partner, riporta alla luce problemi e lacune ricorrenti. Anzi, violazioni e mancanze nel diritto alla protezione delle vittime e nella prevenzione.
Pertanto, come Collettivo chiediamo:
- Che una persona condannata per violenza contro le donne, giudicata come instabile, ad alto rischio di recidiva, debba obbligatoriamente seguire una terapia di reinserimento per prevenire altra violenza. Altrimenti diventa un pericolo per ogni donna, in particolare per chi ha già denunciato.
- Che la divulgazione di informazioni intrusive, personali, parole delle vittime, dettagli sui fatti, o peggio, informazioni infondate prima che siano definitive le sentenze, costituisce un grave danno. Per tutte le vittime si tratta di forme di umiliazione e violazione della sfera privata. Infierisce su chi ha già subito e può interferire sull’esito dei procedimenti. È indispensabile una maggior tutela delle vittime e delle persone coinvolte anche indirettamente (in particolare di figli e figlie). Il ruolo dei media e della cronaca giudiziaria deve essere garantire il corretto operato della giustizia. È essenziale evitare le spettacolarizzazioni e le strumentalizzazioni.
- Che il ruolo della polizia e delle autorità sia innanzitutto quello di accogliere le denunce e assicurare la massima protezione alla vittima.
- Che vadano potenziate e promosse le consulenze di aiuto alle vittime: il servizio LAV e le Case delle donne per garantire un ascolto e un intervento professionale, competente, confidenziale in grado di assicurare un aiuto mirato e tempestivo. Troppo spesso le vittime riferiscono di non averne mai sentito parlare. La polizia dovrebbe immediatamente informare le vittime! È un diritto fondamentale. E i media dovrebbero sistematicamente riportarne i contatti negli articoli sulla violenza di genere e la violenza domestica.
- Che sia istituito al più presto un numero telefonico unico anti-violenza, attivo 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, gestito non dalla polizia ma da personale (prevalentemente femminile) qualificato. Un numero unico per poter essere ascoltate, credute, accompagnate e orientate. Un numero a tre o quattro cifre, facile da ricordare, come ad esempio 146 o 1406.
I contatti per l’aiuto alle vittime:
- Il sito ufficiale con tutti i contatti dei consultori, dei servizi LAV e delle case delle donne in Svizzera: https://www.aiuto-alle-vittime.ch/
- Il servizio LAV (Legge aiuto alle vittime di reati) del Ticino: numero gratuito: 0800 866 866
Per saperne di più
Sulla problematicità e i danni della spettacolarizzazione dei casi di violenza