Parte prima – LEI è una dura
Torno a casa dopo una giornata di intenso lavoro. Combatto burocrati tutto il giorno, e vi assicuro che alle volte è estenuante.
Bè quel giorno, saranno state le 17-17.30, vedo subito che LEI, la mia amica e vicina di casa, ha qualcosa. Qualcosa che gira storto.
Si sforza di sorridermi, sorseggia una birra, fuma una sigaretta e, come sempre, tiene duro.
“Ciao bella, che c’è?”
“Ma no, sono un po’ così, ma niente, solite cose.”
“Solite cose? Hai visto Uomomerda?”
Uomomerda è l’ex marito di LEI. Lei l’ha lasciato perché la picchiava.
La picchiava spesso. La picchiava forte.
LEI ha avuto due aborti a causa di Uomomerda.
Uomomerda è uno stronzo ed è violento.
Non l’ha mai denunciato. Ci ha provato ma era troppo dura, non se l’è sentita ed è tornata a casa.
Un giorno ha deciso di separarsi, è così che siamo diventate amiche, perché prima eravamo solo conoscenti; “ciao-ciao” quando ci si incrociava nel solito tran-tran.
Aveva bisogno di un avvocato e ne aveva trovato uno col cognome come il mio, voleva sapere se lo conoscevo. Abbiamo iniziato a parlare, siamo diventate grandi amiche.
LEI si è separata. Ha preparato tutto di nascosto, ha trovato un lavoro, una casa, dei mobili. E una notte è andata via, ha lasciato Uomomerda e gli ha detto di parlare con l’avvocato. LEI è una dura, di quelle vere.
Per mesi si sentì in colpa: se avessi ancora provato, ci sono i bambini, forse sono stata precipitosa…
Uomomerda intanto gridava, poi minacciava, poi la accusava, la chiamava ad ogni ora, scriveva email a mazzi, la seguiva, si appostava in città per incrociarla.
Ma poi, davanti a tutti, piangeva, ah si, col pubblico lui piangeva. Poverino.
Anche la famiglia di LEI si era lasciata convincere molte volte: se tu avessi provato, ci sono i bambini, forse sei stata precipitosa.
Bè quel giorno, LEI-la-dura, stava stringendo i denti ed io volevo sapere perché.
Le dure alle volte stringono i denti così forte perché hanno una frase incastrata. E ancora non lo sanno, gliela devi tirare fuori.
“Allora hai visto Uomomerda?”
“Si dovevo vederlo, aveva una cosa del piccolo che doveva darmi.”
“E come è andata?”
“Male… Mi ha detto che fa una strage, se non torno con lui …mi ha detto che fa una strage.”
“Una strage?”
“Sì. Dice che fa una strage che esce sui giornali ma che io non la potrò sapere dai giornali perché non ci sarò più.”
“… Ho capito. Credo che ti abbia minacciato di morte.”
“Si, credo anche io.”
“Dovresti denunciarlo, amica mia.”
“…”
“Se vuoi ti accompagno. Andiamo in due. Anzi in tre! Chiedo all’Amico se ci accompagna. È un uomo, è svizzero, ci aiuterà averlo in commissariato. Ti va?”
“Sì, mi va, andiamo!”
Parte seconda – “Una velata minaccia.”
In commissariato, dopo varie insistenze (perché è “quasi ora di chiusura”) ci accoglie un poliziotto. Svogliatamente ci fa entrare, in ufficio Rete Uno a volume altino, i migliori successi degli anni ’90 italiani.
Prende dei foglietti ritagliati, avanzi di fogli ritagliati. Scribacchia.
“Avete un documento?” chiede.
Li presentiamo tutti e tre. Due spelacchiati e grigi permessi di dimora e una splendida carta di identità confederata, scintillante, con la sua bella crocina ruvidina nell’angolino.
LEI comincia a raccontare, trema. Racconta del passato, delle botte, del divorzio, di oggi, delle parole di Uomomerda, della paura, dei bambini e della paura per i bambini.
“Sì, ma cosa le ha detto di così grave signora?”
“Mi ha detto che fa una strage!”
“Ah, e lei viene qui per una velata minaccia?”
“…”
Interviene Amico. Vai Guglielmo Tell, occhi puntati sulla mela.
“Una velata minaccia?! Ha detto una velata minaccia?! Può spegnere la radio signore?”
Il poliziotto spegne la radio.
“Secondo lei dire “faccio una strage” è una velata minaccia?! In più parliamo di un uomo violento, che ha già picchiato più volte la mia amica, non è evidentemente una persona equilibrata.”
“Capisco signore” – risponde il poliziotto – “Ma qui abbiamo solo la parola della signora, che si lamenta di una velata minaccia, io non posso fare niente.”
LEI si gira, mi guarda “andiamo via” sussurra. No, stavolta no, stavolta restiamo. C’abbiamo pure il maschio svizzero, hai visto mai. Stavolta questo poliziotto dei miei stivali ti deve ascoltare.
Prendo la parola.
“Signore, cerca un testimone? Io sono testimone! E anche Amico lo è. L’abbiamo visto aggirarsi, abbiamo sentito le minacce diverse volte nell’androne delle scale. So che è un violento, LEI ha contattato il servizio vittime di reato, sanno tutto anche loro.”
Il poliziotto rimane interdetto un momento, ci pensa su, cerca un argomento per mandarci via. Che gabola gli è capitata, e proprio prima della chiusura…
“Sì, ma io mica posso fare niente, non ho elementi.. E poi signora non è che è solo un periodo difficile per il suo ex? Non è che lei, signora, ha un nuovo compagno?”
Interviene Amico: ”Scusi, cosa c’entra?”
Rincaro: “Signor poliziotto può darmi il suo nome? Sa, se domani a LEI dovesse succedere qualcosa voglio sapere con chi ho parlato oggi così da poter dire che abbiamo parlato con lei.
Che lei, signore, ci ha mandato via perché diceva che se un uomo notoriamente violento minaccia di fare una strage è un nonnulla. Che non si poteva prevedere perché forse LEI se l’è andata a cercare. Che le donne minacciate sono solo una gabola, non hanno prove anche quando arrivano coi testimoni. Che è meglio mandarle via alla svelta, così da ascoltare in pace Rete Uno. Signore mi dia il suo nome per favore.“
Una velata minaccia. Roba da chiodi.
Il poliziotto bofonchia qualcosa, sbuffa, si gratta la testa pelata.
LEI trema meno, ci siamo io e Amico, qui con te e questo stronzo, non sei sola.
Il poliziotto esce, ne arriva un altro. LEI fa la sua lecita denuncia. Divieto di avvicinarsi. Ci s’è guadagnato qualche mese di tranquillità.
Morale
Se vuoi denunciare un uomo violento che ti ha picchiata, ti stalkera, ti minaccia, spaventa te, i tuoi amici e i tuoi figli…
Se vuoi farlo, in Svizzera, nel 2020 bisogna essere almeno in tre: almeno un uomo, almeno uno svizzero e almeno una velata minaccia al poliziotto che, se non fa il suo lavoro, finisce nei guai. Sembra una barzelletta ma -accidenti- non lo è!
Amica mia, ti voglio bene.