Indietro non si torna

9 Luglio 2022 | Global Sisterhood

Di Erika Zippilli

Chi come me era bambina negli anni Cinquanta, ricorda un tempo in cui gli uomini – quelli che vivevano nelle nostre case – non parlavano di aborto. Era un fatto di donne, di cui preferivano non impicciarsi. Insomma, lasciavano fare. Poi hanno preso ad occuparsene, spesso con toni accusatori, soprattutto i “contro”. E le donne si son sentite costrette a rispondere, ma non hanno mai posto la questione in termini di pro e contro. L’aborto è sempre stato un fatto della vita. Dalla notte dei tempi, nella realtà, le donne si sono sempre dimostrate di necessità pro scelta.

Ma che ci sta dietro questo novello e talvolta aggressivo interesse maschile? Probabilmente un proposito di controllo. Probabilmente l’ossessione assai diffusa di essere tagliati fuori dalle donne. Che è poi il brodo di coltura in cui nasce la violenza e che va a riempire la cronaca di casi di femminicidio. 

Ci son voluti cinquant’anni per cancellare la legge che nel 1973, grazie alla sentenza Roe vs Wade, rese l’aborto praticabile in tutti gli Stati Uniti. Da un diritto costituzionalmente protetto a livello federale, nel 2022 si passa dunque alla normativa dei singoli stati e all’arbitrio della politica.

Nel corso di questi cinquant’anni l’aborto non ha mai smesso di spaccare i parlamenti e di essere ovunque nel mondo oggetto di una guerra culturale fra sostenitori e avversari. Oggi il conflitto geopolitico e sociale cerca una sua valvola di sfogo nella limitazione delle libertà femminili. È una costante: più l’ordine patriarcale vacilla, più si vendica tentando di riacciuffare il proprio spazio di dominio. Non si tratta di una questione marginale, bensì cruciale: a fronte della crisi di civiltà, con la quale siamo confrontati/e a tutte le latitudini e sotto tutti gli svariati e nefasti regimi politici, la libertà della scelta riproduttiva è messa in discussione. Come vediamo, questo avviene infatti anche nella “grande democrazia” americana, mentre, proprio in nome dei valori democratici, è intenta a combattere una guerra per procura contro il regime russo. 

Ma c’è dell’altro. Il femminismo sostiene che l’esistenza di una legge dello Stato in questa materia non è per nulla compatibile con la libertà femminile. Invece di difendere semplicemente una legge, o limitarsi a chiederne una migliore, sarebbe opportuno pensare alla depenalizzazione dell’aborto, cancellando così ora e per sempre dal codice penale il vocabolo “aborto” connesso a quello di “reato”.

Vi è infatti differenza tra l’affermare che l’aborto è una conseguenza necessaria provocata da elementi esterni e il registrare un potere femminile autorevole e decisionale sulla vita! 

Dopo il femminismo del Novecento, esiste comunque una legge storica che tiene la barra e non si arrende. Sul piano delle libertà riproduttive le donne non tornano e non torneranno indietro. Lo testimoniano le grandi manifestazioni che in questi giorni riempiono le strade e le piazze statunitensi. E che, se necessario, riempiranno anche quelle europee, valicando le frontiere vecchie e nuove volute dagli uomini in guerra.  

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