La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti del 24 giugno 2022 di ribaltare una sentenza storica – quella Roe v Wade – che già dal 1973 ancorava l’aborto alla Costituzione e garantiva il diritto alle donne americane di interrompere una gravidanza, appare incredibile. Una decisione di questo tipo, nella storia statunitense, è senza precedenti, anche perché si sta parlando di un diritto garantito alle donne da 50 anni. È particolarmente sorprendete perché in passato i casi ribaltati dalla Corte Suprema hanno favorito una maggiore tutela dei diritti fondamentali, mentre questa volta è successo esattamente l’opposto: di fatto sono stati posti dei pericolosi limiti ai diritti riproduttivi e alla libertà di scelta delle donne.
Nel concreto questa sentenza, non riconoscendo l’aborto come un diritto federale, permette ai singoli Stati di vietare o limitare la possibilità di interrompere una gravidanza, con un impatto immediato sulla vita di decine di milioni di donne e sulla percezione che esse possono avere della loro libertà di autodeterminazione.
Sembra che siano almeno 26 gli Stati che introdurranno immediatamente o appena possibile il divieto di abortire. Si tratta degli Stati del sud e del centro-est del Paese, quelli economicamente più svantaggiati e dove la povertà è più presente. In questi Stati le donne in gravidanza che vorranno abortire, se potranno permetterselo, dovranno spostarsi per centinaia di chilometri, oppure ricorrere a pratiche poco sicure, mettendo a repentaglio la propria vita e correndo il rischio di essere criminalizzate.
Dopo questa sentenza, più di 40 milioni di donne in età riproduttiva, vive in Stati ostili all’aborto. Secondo una stima, nel prossimo anno potrebbero essere fino a 75 mila le donne costrette a portare a termine una gravidanza a causa dell’illegalità dell’aborto, con conseguenze significative sia sulla vita di queste persone a cui è stata imposta una maternità sia su quella delle/ei loro figlie/i.
Con tale decisione, gli Stati Uniti sono il quarto Paese al mondo che, dal 1994, ha compiuto un passo in dietro in relazione ai diritti riproduttivi delle donne e all’interruzione di gravidanza, insieme a Polonia, El Salvador e Nicaragua. È comunque innegabile che gli USA, rispetto a questi altri tre Paesi, sono più ricchi e certamente molto più influenti a livello globale.
Dopo aver vissuto due anni di pandemia che hanno penalizzato in particolar modo le donne; dopo aver visto i talebani tornare al potere in Afganistan e cacciare le ragazze dalle scuole e imporre il burqa; dopo aver assistito allo scoppio della guerra in Ucraina e la conseguente narrazione bellica e patriarcale; dopo aver seguito la vicenda Heard – Deep, che ha sancito un rinnovato trionfo della misoginia; ci mancava solo questa sentenza che lede le libertà fondamentali e i diritti riproduttivi delle donne americane.
Siamo di fronte ad una nuova Restaurazione, una risposta conservatrice ai movimenti femministi che hanno avuto un nuovo slancio negli ultimi anni, come il #metoo o Niunamenos. Sembra proprio che la conflittualità politica e sociale abbia trovato un terreno di sfogo nel controllo del corpo, della libertà e della sessualità delle donne. La storia ci insegna che quando il patriarcato sente di essere minacciato, mette in atto strategie volte a ripristinare il dominio maschile sulle donne, agendo a vari livelli e in tutti i contesti, anche quelli che si definiscono per tradizione “paladini e garanti della democrazia”, come gli Stati Uniti d’America. Le donne e i movimenti femministi di tutto il mondo si stanno già organizzando per resistere ai venti reazionari che soffiano forte anche da noi e che possono essere fermati solo con la sorellanza globale, la solidarietà e la mobilitazione.