Femminismo è pacifismo

25 Febbraio 2022 | La rivoluzione è fica!

Come femministe e transfemministe non possiamo che essere contrarie alla guerra, la tradizione del movimento femminista è sempre stata quella di essere contro tutte le guerre che mai nella storia hanno risolto i conflitti. 

La nostra storia, la storia delle donne, non può che essere una storia di pacifismo “senza se e senza ma”. La guerra appartiene alla storia degli uomini. 

Quando si parla di guerra si pensa sempre a combattenti coraggiosi che si battono e muoiono sul campo, ma la guerra colpisce anche le donne, anche e soprattutto nei periodi di guerra le donne sono chiamate ad assicurare la cura di chi rimane sotto i bombardamenti e sostenere i bambini e gli anziani che non vanno direttamente a combattere.

Sappiamo poi che i conflitti si combattono direttamente sul corpo delle donne, che diventano campi di guerra.

Durante tutte le guerre vengono commessi stupri con l’obiettivo di terrorizzare le popolazioni, distruggere le comunità e in alcuni casi modificare anche la composizione etnica delle generazioni successive. Gli stupri di guerra non sono solo le violenze sessuali commesse dai combattenti, ma anche la costrizione a prostituirsi come pure a divenire schiave sessuali. Questo è quello che è successo per esempio a Nadia Murad, oggi attivista per i diritti umani, che nel 2014 è stata catturata dall’ISIS e resa schiava per quasi un anno. 

Le conseguenze di questi atti durano nel tempo e sono drammatiche: gravidanze indesiderate, infezioni, traumi, emarginazione e infamia pesano sulle donne per sempre. Donne a cui poi spesso è negato l’accesso ai servizi di cura e di sostegno. 

Questa forma di violenza è parte integrante delle guerre e dei conflitti, ma vien spesso sottaciuta o considerata come inevitabile. 

In Ruanda, durante il genocidio, protrattosi per tre mesi nel 1994, furono stuprate tra le 100.000 e le 250.000 donne e più di 60.000 sono state stuprate durante la Guerra civile in Sierra Leone (1991-2002), più di 40.000 in Liberia (1989-2003), fino a 60.000 nella ex Jugoslavia (1992-1995) e tra le 250’000 e 500’000 nella Repubblica Democratica del Congo durante gli ultimi 12 anni di conflitto.

La cultura dello stupro diventa una vera e propria tattica di guerra, la guerra legittima l’autoritarismo, l’uso indiscriminato dalla violenza, del potere e della sopraffazione. 

Non esiste una guerra a “zero morti”, in ogni conflitto ci sono vittime e ci sono eserciti che usano e abusano dei corpi, soprattutto delle donne. 

La guerra diventa quindi l’espressione massima della violenza patriarcale che si esprime quotidianamente sui nostri corpi e contro la quale continueremo a combattere e a mobilitarci.

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