L’azione del collettivo Io l’8 ogni giorno per portare alla luce la gravità di un’emergenza:
I dati ricordati dal collettivo Io l’8 ogni giorno per contestualizzare questo Falò dell’indifferenza, non lasciano dubbi:
La violenza di genere anche in Svizzera è un’emergenza sociale e strutturale, individuale e collettiva.
“Il 22% delle donne (dai 16 anni in su) in Svizzera ha subito degli atti sessuali non consensuali, ossia circa 800’000 vittime di reati sessuali. Il 12% ha avuto un rapporto sessuale contro la propria volontà, cioè 430’000 donne vittime di stupro tra la popolazione svizzera.
Quasi la metà delle donne toccate (49%) tiene per sé l’episodio di violenza sessuale.
Solo l’8% di loro ha denunciato l’episodio alla polizia.
Sono solo alcuni dei risultati di uno studio del 2019 del gfs.bern, che evidenziava anche le motivazioni che fanno desistere dal denunciare: la convinzione di non avere possibilità di arrivare a una condanna 62%,
la paura di non essere credute 58%, l’incertezza sui propri diritti 50%.” (gfs.bern 2019)
Da Falò del 18 novembre al Falò dell’indifferenza
Lo scorso 18 novembre un’inchiesta di Falò di Anna Bernasconi aveva portato alla luce i danni e le conseguenze di un’indifferenza generalizzata.
Rompere il silenzio… Non è certo solo un incoraggiamento alle vittime affinché denuncino, si espongano e facciano emergere le situazioni di abusi e violenza.
È innanzitutto un appello alle persone attorno, ad ascoltare, a non chiudere gli occhi e a non stare in silenzio di fronte ad abusi, molestie, e discriminazioni.
Rompere il silenzio non è, e non deve essere, un peso che ricade unicamente sulle vittime. È una responsabilità dell’intera società.
Ed è per questo che è importante questa azione del collettivo Io l’8 ogni giorno, per sensibilizzare e ribadire la necessità di reagire, tutte e tutti, insieme e individualmente.
Le vittime non denunciano, se attorno nessuna e nessuno le ascolta. Le vittime non denunciano perché il sistema, le istituzioni, e le persone che vi lavorano non sono pronte ad accogliere le segnalazioni e le testimonianze di chi ha subito.
Bruciare l’indifferenza è il primo passo, un passo che compete a chiunque, una reazione individuale e collettiva. Indispensabile per cominciare ad agire contro la violenza. Perché finché non si fermano le persone abusanti, potranno continuare ad agire indisturbate e imporre violenza.
Da quel caso, quello dell’ex funzionario DSS, è emersa un’indifferenza generalizzata in tutti gli ambiti possibili.
All’interno dell’amministrazione e del DSS, proprio in quell’ufficio e in quel settore che invece dovrebbe reagire per la presa a carico e la prevenzione degli abusi e delle violenze, ed per questo che quel caso gravissimo ed è indispensabile approfondirlo. Ma è un caso come tanti altri. Ci sono decine e decine di altri casi di abusi, molestie e violenze che non emergono, di cui non si parla e che vengono insabbiati nell’indifferenza generale.
Se vale la pena ripartire da quell’altro Falò, da quella grandiosa inchiesta di Anna Bernasconi, è proprio perché ha portato alla luce un caso esemplare delle conseguenze dell’indifferenza. Un caso che vale per tanti altri. Ma più grave perché coinvolge proprio quegli ambiti istituzionali che invece dovrebbero assumersi la responsabilità di reagire e prevenire queste situazioni.
L’elenco delle persone che avrebbero potuto agire in quel caso specifico, anni fa e in questi ultimi 4 anni, per limitare i danni e le conseguenze di decenni di abusi, sarebbe lungo e inutile.
Tante persone ne sapevano abbastanza almeno per chiedere, verificare, approfondire. Persone dall’ambito dei media (che già 20 anni fa sapevano perfettamente cosa stava succedendo), e persone di quell’ufficio e di altri ambiti dell’amministrazione, ed esponenti della politica e dei sindacati. Ma anche persone del mondo della scuola o delle attività giovanili…
Tante persone avrebbero potuto agire e non l’hanno fatto.
Ma non ha senso fare l’elenco di chi non ha agito, chiediamoci invece cosa possiamo fare noi, oggi, adesso e guardando avanti. Perché tanto ormai indietro non si torna. I danni sono stati fatti. Cerchiamo di ricavarne qualcosa di utile.
È indispensabile fare un audit serio, competente per capire cosa, dove e come migliorare in ambito istituzionale. Perché è evidente che qualcosa non ha funzionato se per anni, per oltre 30 anni, una persona ha potuto abusare di tante giovani, proprio agendo in quel settore del DSS in cui lavorano le persone che dovrebbero avere la maggior competenza e responsabilità su certe situazioni.
È evidente che il sistema ha fallito. Ma il sistema. Non è una questione esclusivamente di errori individuali di questo o quell’altro. È un sistema che non ha funzionato e ancora non funziona. Diciamolo. Diciamo che è un sistema che non funziona e soprattutto parliamo di cosa fare per migliorarlo.
Molte persone potrebbero agire già da oggi, e assumersi delle responsabilità.
Potrebbero cominciare i media, per parlare seriamente delle cause e delle conseguenze delle situazioni di abusi, invece che ferire e infierire dando dettagli inutili e intrusivi che rendono ancora estremamente più difficili le denunce e i molti mesi dei procedimenti penali. Se si parla di abusi e violenze, non si sta parlando di malversazioni finanziarie o parcheggi abusivi. Si parla di vite, di sofferenze, e ci vorrebbe rispetto.
L’inchiesta di Anna Bernasconi è stata importantissima sia per il tema, sia in quanto esempio eccezionale di come sia possibile parlare di abusi della massima gravità senza abusare ancora di chi li ha già subiti. Senza infierire, senza dare dettagli inutili e intrusivi. Anzi, al contrario. Con tanto rispetto e senso etico. Ha dimostrato che un giornalismo rispettoso è possibile.
E che un giornalismo rispettoso può essere molto utile per mostrare gli ambiti in cui si potrebbe e si dovrebbe intervenire e migliorare. E da subito.
Perché cambiare le istituzioni richiede tempo. È indispensabile ma richiede tempo. E invece quello che possiamo cambiare noi e subito è il nostro modo di reagire di fronte alle situazioni di molestie ed abusi ed indifferenza.
Ma dietro, di fronte e al di fuori della burocrazia, vi sono persone. Che potrebbero e dovrebbero vedere, ascoltare e parlare con responsabilità e umanità.
Ognuna ed ognuno di noi potrebbe perlomeno prestare ascolto, non banalizzare e assicurarsi che le persone coinvolte siano a conoscenza dei loro diritti, degli aiuti e delle misure di sostegno che esistono (seppur insufficienti), delle persone che potrebbero a cui rivolgersi. Se non contribuiamo a fermare le situazioni di violenze, potranno andare avanti per anni, per decenni, nel caso specifico per oltre 30 anni.
Perché le prime segnalazioni risalgono al 1987 e siamo ancora qui, dopo 35 anni, a dover aspettare, e sperare, che dall’ambito della politica agiscano con un minimo di responsabilità e facciano un audit serio, competente, indipendente e da fuori Cantone, che porti a raccomandazioni utili su cosa e come migliorare.
E soprattutto occorre una reazione nostra, individuale e collettiva. Non possiamo più chiudere gli occhi o banalizzare di fronte a certe situazioni.
E non possiamo aspettare che siano la politica e le istituzioni ad agire, perché è assolutamente indispensabile che lo facciano, ma ci vorranno anni.
E non possiamo più aspettare. Perché ogni giorno ci sono persone che subiscono e soffrono. E dobbiamo cominciare a interrompere da qui, da oggi il ciclo della violenza.